Una messinscena tutta concentrata sulla performatività piuttosto che sul discorso che tramite essa si sta approntando.
Non si capisce il senso dell'intervento drammaturgico di Bignè L'amore è Cechov che ha unito inopinatamente due attici unici del drammaturgo russo, un estratto da Sul danno del tabacco posto a mo' di incipt e una libera riduzione de L'orso, con alcuni a parte scritti ad hoc nei quali i tre personaggi de L'orso usano la metafora del bignè - che dà il titolo alla piéce - per descrivere la propria vita (Il mio cuorela mia vitail mio stomaco è come un bignè vuoto...).
L'orso è un vaudeville che racconta dell'innamoramento repentino di un uomo apparentemente misogino nei confronti di una vedova fedele al marito, morto e fedifrago, anche da vedova. Un testo dallo spiccato impianto realista la cui ironia scaturisce dallo scarto tra la situazione plausibile e il sottotesto contraddittorio divertito e divertente nel quale Cechov addita idiosincrasie della borghesia a lui contemporanea.
Malabranca Teatro porta in scena i personaggi cechoviani presentandoceli come maschere da cabaret, la biacca sul viso, gli abiti borghesi dismessi, Grigorij Stepanovic Smirnov in panciotto e mutande, la vedova Elena Ivanova Popova tutt'altro che retorica nel suo attenersi al lutto (come in Cechov) polemica e uterina, mentre il vecchio servitore Luka (figura tipica del teatro cechoviano, che incarna la saggezza popolare contadina assoggettata alla classe borghese) trasfromato in gagà.
Questa rilettura dei personaggi serve più a dare un segno grafico di riconoscimento immediato (sostanzialmente riuscito) alla messinscena - assieme al rosa azalea delle quinte, ripreso anche per una cyclette usata egregiamente come elemento di scena, all'immagine di Putin che campeggia a mo' di foto del caro estinto, e le torte ricostruite con il cartone sulle quali sono assiepati bignè con la glassa anch'essa rosa - piuttosto che per contribuire a una nuova lettura drammaturgica del testo.
La spinta straniante del cabaret che corrobora una recitazione tutta sopra le righe (tranne quella di Giodo Agrusta che interpreta Grigorij Stepanovic con un registro più realistico) si sovrappone al meccanismo del vaudeville del testo originale sciupandone l'ironia di fondo, soffocandola con un registro esagerato che non esalta ma copre.
Se Cechov additava vizi e virtù del popolo russo Malabranca teatro sembra più interessata a presentare un meccanismo narrativo più per il valore della sua forma che del suo contenuto.
L'intento di mettere in scena un eccentrico spot pubblicitario a metà tra la commedia dell'arte e la tragedia greca - come si legge sul programma di sala - non trova riscontro sulla scena né tantomeno nei testi di Cechov da cui lo spettacolo è tratto. Gli a parte sui bignè come metafora esistenziale così come i continui sipari musicali (estratti da arie d'opera o più popolari o di musica pop compresa Mina) non contribuiscono alla rilettura di Cechov ma si limitano ad aggiungere elementi spuri per il puro gusto performativo che poco si collegano sia alla cultura russa del l'800 sia a quella contemporanea, italiana o russa che sia.
Il risultato finale se diverte un pubblico ignaro dell'originale - grazie alla verve interpretativa della compagnia - , lascia perplessi per l'operazione teatrale di per sé che vede mettere mano a un testo tra i più famosi del Cechov degli atti unici senza che la messinscena - tutta concentrata sulla performatività piuttosto che sul discorso che tramite essa si sta approntando - ne (di)mostri la necessità.